Quando è diffamazione e quando no? I criteri applicativi
Diritto di critica e diffamazione
Scritto dall’Avv. Giovanni Turina | Aggiornato il 19 giugno 2025
Avvocato Giovanni Turina – Verona e Villafranca
Il diritto di critica è una scriminante: quando c’è, allora non può esserci diffamazione.
Però non tutto è coperto dal diritto di critica, perché altrimenti nessuna recensione sarebbe diffamatoria.
Scopri quando una recensione è diffamazione oppure no, secondo questi criteri.
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La scriminante del diritto di critica è nella pratica la più rilevante, perché è la più utilizzata.
Il diritto di critica infatti è spesso eccepito come “scudo” dai molti che, legittimamente o meno, si lasciano andare ad intemperanze verbali salvo poi dolersene.
Ma cos’è per la giurisprudenza penale il diritto di critica?
Il diritto di critica, anche nelle comunicazioni online, rientra tra le scriminanti applicabili alla diffamazione, purché siano rispettati gli stessi limiti del diritto di cronaca: verità dei fatti, continenza e pertinenza.
Tuttavia, rispetto al diritto di cronaca, i confini del diritto di critica risultano più ampi, essendo la critica un’opinione soggettiva che riflette il pensiero dell’autore.
L’esimente del diritto di critica non richiede che le notizie siano perfettamente aderenti alla verità, ma è essenziale che non vi sia un’alterazione sostanziale della realtà e che l’interesse sociale giustifichi il tema trattato.
Sono inoltre tollerati toni aspri, iperboli e linguaggi figurati, purché proporzionati all’argomento e funzionali alla protesta o all’opinione, senza sfociare in volgarità o espressioni scorrette.
Vediamolo nel dettaglio, sul presupposto (già accennato) per cui il diritto di critica è diversamente declinato se si parla di figure professionali o meno: il professionista, o chi assume un ruolo pubblico, deve essere più accorto in quello che dice o scrive.
Vediamo che cosa non rientra nel diritto di critica: se c’è una “gratuita manifestazioni di sentimenti ostili che prescinde dalla verità dei fatti storici su cui si fonda l’elaborazione critica” (Cass. pen., sentenza 16/12/2020 n. 9566) siamo al di fuori dell’esimente del diritto di critica e, dunque, pienamente nell’ambito della diffamazione.
Non si è nell’esimente nemmeno quando la persona offesa “oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al pubblico disprezzo (Fattispecie relativa alla pubblicazione di commenti ‘ad hominem’ umilianti ed ingiustificatamente aggressivi su di una bacheca ‘Facebook’, pubblica piazza virtuale aperta al libero confronto tra gli utenti registrati)” (così Cass. pen., sentenza 18/01/2021 n. 8898).
Se il contenuto di uno scritto autobiografico di un personaggio di pubblico rilievo contiene “notizie diffamatorie sulla vita privata di un suo familiare (nella specie la ex moglie) non mediaticamente esposto” siamo nell’ambito della diffamazione e fuori dall’esimente, giacché tali notizie non rivestono “oggettiva utilità ed interesse sociale” (Cass. pen., sentenza 03/06/2021 n. 32917).
V’è diffamazione altresì quando le espressioni utilizzate da una persona si risolvono, in sostanza, in “un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale” (Cass. pen, sentenza 15/11/2022 n. 9953).
Il tacciare un magistrato di “parzialità per ragioni politiche” è diffamazione e non diritto di critica giudiziaria e ciò “per la intrinseca offensività della affermazione, che involge gli imprescindibili caratteri di indipendenza ed autonomia nell’esercizio della funzione giudiziaria, risolvendosi in una critica alla persona, piuttosto che alle capacità professionali del magistrato” (Cass. pen, sentenza 25/10/2021 n. 45249).
Vediamo ora i casi in cui effettivamente v’è la scriminante del diritto di critica.
Per quanto attiene la figura del giornalista è interessante la sentenza del 06/03/2020 n. 17259 per la quale “in tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di critica del giornalista non può essere svilito, limitandolo alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta riproduzione, sicché non può negarsi al predetto il diritto di ricercare e di riferire al lettore legami, rapporti e relazioni, dirette o indirette, immediate o mediate, quando questi elementi risultino oggettivamente sussistenti” .
Più in generale, “ricorre l’esimente dell’esercizio del diritto di critica e satira politica quando le espressioni utilizzate esplicitino le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, non si risolvano in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale” (Cass. pen., sentenza 14/10/2021 n. 320).
In questi casi i giudici di Cassazione hanno ritenuto che non vi fosse diffamazione.
E ancora, Cass. pen., sentenza 09/09/2019 n. 42755: “L’esercizio del diritto di critica postula che l’autore utilizzi fonti attendibili e verificabili, segua un percorso logico non pretestuoso e si esprima con termini appropriati e continenti, non assumendo, invece, rilievo in sede penale la completezza delle fonti bibliografiche compulsate, né la perspicacia dei giudizi formulati”. Nel caso di specie l’autore, uno storico, aveva “con logica discutibile e claudicante” sostenuto una ipotesi fondata su di una serie di indizi, consistenti in dati reali e correttamente esposti, prospettati insieme all’opinione a sé concorde di altri storici, in modo che il lettore era nella effettiva condizione di “apprezzare la forza del ragionamento e di farsi una propria opinione sul fatto”.
In termini simili la sentenza del 04/11/2019 n. 50189: un giornalista aveva mancato di esaminare gli atti giudiziari criticati nel suo intervento e, per comprenderli, si era affidato all’avvocato del soggetto destinatario degli atti stessi. La Cassazione, confermando la sentenza di merito che ha ravvisato nella condotta del giornalista una fattispecie di diffamazione, ha sostenuto che “La scriminante putativa dell’esercizio del diritto di critica o di cronaca è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il giornalista abbia assolto all’onere di esaminare, controllare e verificare l’oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio”. In questo caso, dunque, il comportamento del giornalista è stato censurato: egli ha diffamato perché doveva “esaminare, controllare e verificare l’oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio”.
Non v’è senz’altro diffamazione quando “il contenuto allusivo ed insinuante di uno scritto o di una frase pronunciata […] non sia immediatamente ed inequivocabilmente percepibile secondo parametri di comune comprensione, ancorati al registro di verifica dell’uomo medio” (fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha escluso che l’espressione “i tempi d’oro sono finiti.. vi ricordo che i vertici della Procura sono cambiati!!” pubblicata su Facebook e diretta all’amministrazione locale fosse offensiva nei confronti del vertice dell’ufficio giudiziario). Così Cass. pen, sentenza 09/11/2022 n. 1365.
È esercizio del diritto di critica, e dunque non è diffamazione, la diffusione di giudizi negativi circa le condotte censurabili che amministratori pubblici hanno perpetrato; questo, tuttavia, purché tale critica “prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale” (Cass. pen., sentenza 10/11/2022 n. 4530). In questo caso gli imputati su Facebook avevano criticato il presidente di un ente pubblico per “aver chiesto personalmente voti” nella pubblica via in un giorno di silenzio elettorale e per avere, nell’esercizio delle funzioni, “affidato incarichi legali esterni” ad “alcuni avvocati di stretta conoscenza”, circostanze poi risultate vere. Tuttavia, occorre fare attenzione al dettaglio: non basta riportare un fatto realmente accaduto, per chiamarsi fuori dalla diffamazione; occorre anche un pubblico interesse (nei termini di cui si è parlato nel paragrafo sul diritto di cronaca) ed anche una continenza nel linguaggio, che cioè non deve cadere in un’offesa alla persona.
Riprendendo una sentenza già citata (Cass. pen, sentenza 15/11/2022 n. 9953) “il contenuto allusivo e insinuante di uno scritto o di una frase pronunciata non assume rilevanza penale nel caso in cui non sia immediatamente e inequivocabilmente percepibile secondo parametri di comune comprensione, ancorati al registro di verifica dell’uomo medio”.
La Corte di legittimità ha preso posizione su di un caso dai confini non solo diffamatori ma anche discriminatori: su internet un utente aveva commentato un’intervista critica sull’omosessualità augurando all’autore dell’intervista che “le figlie diventassero lesbiche e sposassero dei gay”. Ebbene, secondo il Collegio “Ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione è necessario che le parole utilizzate siano attributive di qualità sfavorevoli alla persona offesa, ovvero che gettino, comunque, una luce negativa su quest’ultima, con la conseguenza che è priva di rilevanza penale l’espressione di un auspicio la cui verificazione dipenda dalla volontà e dalle inclinazioni di terzi” (Cass. pen., sentenza 07/020/2020 n. 17944). In questo caso, dunque, si è ritenuta applicabile la scriminante del diritto di critica.
E ancora, sul tema dell’uso di social network e blog vari: è scriminata l’espressione “sottocultura del letamaio” riferita in danno di un datore di lavoro che si oppone alle rivendicazioni salariali dei propri operai, se espressa in un articolo dal chiaro orientamento politico (“Brescia Anticapitalista”) e se detta espressione è “funzionale alla disapprovazione della condotta di sfruttamento e delle idee ‘razziste’ espresse sul profilo Facebook dal datore di lavoro” (Cass. pen., sentenza 07/03/2022 n. 17784).
È dunque evidente che la casistica penale in tema di diffamazione è molto variegata, ma quel che più rileva è la corretta applicazione dei tre principi cardine di verità, continenza e pertinenza.
Dunque, a prescindere dal fatto che l’espressione del pensiero si attui online oppure offline bisogna sempre tenere conto di questi tre criteri.
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